Il fabbro

Le forgeron

 

 

 

                                                    Palazzo delle Tuileries,

                                                       verso il 10 agosto 1792

 

Col braccio sul martello gigante, tremendo

D'irruenza e grandezza, fronte vasta, ridendo

Come una tromba di bronzo, con tutta la bocca,

E avvinghiando allo sguardo feroce quel grassone,

Il fabbro parlava con Luigi Sedici, un giorno

Che il Popolo smanioso gli stava intorno,

Strusciando su quegli ori i suoi panni sporchi.

Ora il buon re, ritto sulla pancia, era livido,

Livido come un vinto da portare alla forca,

E, umile come un cane, non recalcitrava,

Ché il fabbro, quel birbante dalle spalle enormi,

Gli diceva parole vecchie e cose strambe,

Da agguantarlo dritto in fronte, così!

 

"Padron mio, tu lo sai, cantavamo larallà,

Pungolando i buoi verso i solchi degli altri:

Il Canonico al sole filava paternostri

Sul bel rosario a grani di monete d'oro.

Il Signore, a cavallo, passava a suon di corno,

E chi con il capestro, chi con lo scudiscio,

Ci accarezzavano. - I nostri occhi, sbarrati

Come occhi di mucca, non piangevano più;

Si andava, si andava, e quando i campi

Erano tutti suddivisi a solchi, quando

Avevamo lasciato in quella terra nera

Un po' di carne nostra… ci davano la mancia:

Davano fuoco, la notte, alle nostre stamberghe;

I nostri figlioli là dentro erano focacce ben cotte.

 

… "Oh! Non è per lagnarmi. Dico le mie sciocchezze,

Rimanga fra noi. Puoi anche contraddirmi.

Dì, non è festa vedere, al mese di giugno,

L'ingresso ai granai dei carri da fieno

Enormi? Sentire l'odore dei germogli,

Dei frutteti quando piove un po', dell'erba fulva?

Vedere biade e biade, spighe piene di grani,

E dirsi che tutto ciò prepara tanto pane?…

Oh! andremmo più forti alla fucina ardente,

A cantare gioiosi martellando l'incudine,

Se fossimo sicuri d'avere almeno in parte,

Dato che siamo uomini! quello che dona Iddio!

- Ma no, è la solita vecchia storia di sempre!

 

"Ormai lo so. Io non posso più credere,

Poi che ho due buone mani, una fronte e un martello

Che un altro venga lì, la daga sul tabarro,

E dica: Ehi! tu, semina sulla mia terra;

Che vengano addirittura, se ci fosse la guerra,

A pigliarsi mio figlio, così, nella mia casa!

- Io dunque sarei un uomo, e tu, saresti un re,

Potresti dirmi: Voglio!… - Lo capisci, che è stupido.

Credi che a me piaccia vedere la tua baracca, i tuoi

Ufficiali infronzoliti, i mille furfanti, i moscardini

Bastardi che fanno la ruota dei pavoni:

Hanno riempito il tuo covo con l'odore delle nostre

Ragazze, e coi biglietti, per spedirci alle Bastiglie.

Ora dovremmo dire: Bravo; i poveri, in ginocchio!

Indoreremo il Louvre, dandoti i nostri soldi!

E tu ti ubriacherai, tu farai festa grossa.

- E lorsignori a ridere, e noi, giù con la testa!

 

" No. Sudicerie che datano dai nostri vecchi.

Il Popolo non è più una puttana. Tre passi, e noi tutti

Abbiamo ridotto in polvere la tua Bastiglia.

Una bestiaccia che trasudava sangue da ogni pietra

Ed era sconcia, la Bastiglia in piedi

Con i muri rognosi che ci raccontavano

Tutto, tenendoci rinchiusi in quel buio!

- Cittadino, cittadino, era il cupo passato

A rantolare, a crollare, quando prendemmo la torre!

In noi c'era qualcosa di simile all'amore.

Avevamo premuto i nostri figli al petto.

E simili a cavalli dalle froge

Fumanti, noi andavamo, fieri e forti;

Sentivamo questo pulsare, qui…

Camminavamo nel sole a fronte alta, - così,-

Per le vie di Parigi! Si accorreva,

Verso le nostre luride casacche.

Finalmente! Eravamo Uomini! Pallidi,

Sire, ubriachi di tremende speranze:

E quando fummo sotto i torrioni neri

Agitando le trombe e le foglie di quercia,

Con le picche nel pugno; in noi non c'era odio,

- Ci sentivamo tanto forti, volevamo essere buoni!

 

"E da quel giorno, siamo quasi impazziti!

Gli operai si sono ammucchiati nelle strade,

Vanno, quei maledetti, orda sempre più folta

Di cupi resuscitati, alla porta dei ricchi.

Io corro con loro a trucidare le spie:

Me ne vo per Parigi, nero, col mio martello,

Feroce, ogni tanto spazzando via un buffone,

E anche te ammazzerò, se mi ridi sul muso!

- Dopo, sta' certo, avrai da fare con i tuoi

Uomini neri, che delle nostre istanze

Fanno pallottole per giocare al volano

Sussurrando astuti fra loro: " Che balordi!"

E cucinano leggi, incollano vasetti

Colmi di decreti in rosa e intrugli drogati,

Godendo a rifilare per bene qualche taglia,

Poi si tappano il naso se passiamo noi,

- Fini rappresentanti, che ci trovano sporchi! -

E non hanno paura di niente, ma di niente,

Se non delle baionette… Va bene, adesso basta,

Con queste tabacchiere contafrottole!

Non ne possiamo più di quei cervelli piatti,

Di quei domeneddio. Ah! queste son le pietanze

Che ci servi, compagno, quando siamo spietati,

Quando mandiamo in briciole pastorali e scettri!…"

 

Lo afferra per un braccio, strappa via il velluto

Dei tendaggi; e là sotto gli addita i cortili

Vasti ove brulica, brulica, e si gonfia la folla,

La folla tremenda che ha il mugghio dell'onda,

Che ha un urlo di cagna, che ha un urlo di mare,

Coi rudi bastoni, le picche di ferro, i tamburi,

Con le sue grida di mercato e di bettola,

Groppo di cupi cenci, cui è sangue il berretto rosso

L'Uomo, dalla finestra spalancata, li addita

Al livido e madido re che a quella vista,

Disfatto, vacilla!

                           "Eccoti la Marmaglia,

Sire. Sbavano ai muri, si espandono, pullulano,

- Non mangiano, Sire, e dunque son canaglie!

Io sono un fabbro: mia moglie è con loro,

Pazza! Che s'illude di trovare pane alla Reggia!

- Gente come noi, i fornai non ne vogliono.

Ho tre bambini. Anch'io son marmaglia. - Conosco

Vecchie in lacrime sotto la cuffia

Perché gli hanno preso il ragazzo o la figlia:

Marmaglia. - Un uomo era alla Bastiglia,

Un altro era forzato: entrambi, cittadini

Onesti. Scarcerati, sono cani.

Li insultano! Allora, sentono qui una cosa,

Che gli fa male, capisci! E' tremendo,

E sentendosi spezzati, sentendosi dannati,

Adesso, là sotto, vi urlano in faccia!

Marmaglia. - Fra loro ci son femmine

Infami, perché, - si sa, son deboli, le donne!-

Signori cortigiani, - si sa, ci stanno sempre!,-

Gli avete, come niente, insudiciato l'anima.

Eccole, adesso, le vostre amanti. Marmaglia.

 

"Oh, tutti gli Infelici, coloro che hanno la schiena

Arsa dal sole crudele, e che vanno, e che vanno,

E a quel lavoro sentono spaccarsi la fronte…

Giù il cappello, borghesi! Questi, sono gli Uomini!

Siamo Operai, Sire! Operai! Siamo per i nuovi

Tempi grandiosi in cui si cercherà di sapere,

In cui l'Uomo costruirà dal mattino alla sera,

Volendo grandi effetti, volendo cause grandi,

Quando, vincitore cauto, domerà le cose,

E come in groppa a un cavallo salirà sul Tutto!

Oh! Splendidi bagliori delle fucine! Di più,

Dobbiamo penare di più! - quel che ignoriamo

Sarà forse terribile: Sapremo!

- Con il martello in pugno, passeremo al vaglio

Ciò che sappiamo: e poi, Fratelli, avanti!

A volte il nostro è un gran sogno pietoso

Di vita ardente e semplice, e lavoro, senza

Male parole, all'ombra del sorriso augusto

Di una donna amata con nobile amore:

Lavoreremmo fieri tutto il giorno,

Ascoltando il dovere come tromba che squilla:

E saremmo felici; e soprattutto

Nessuno, oh! Nessuno potrebbe mai piegarci!

Sopra il camino avremmo un fucile…

 

"Oh! Ma l'aria è tutto odore di battaglia!

Che ti dicevo? Anch'io sono marmaglia! Ancora

Rimane qualche incettatore, qualche spia.

Siamo liberi, noi! Conosciamo terrori

In cui ci sentiamo grandi, tanto grandi! Ti parlavo

Poco fa di un dovere calmo, di una casa…

Ma tu, guarda il cielo! - E' troppo esiguo per noi,

Soffocheremmo dal caldo, saremmo in ginocchio!

 

Ma tu, guarda il cielo! - Io torno tra la folla,

Nella grande marmaglia tremenda, che spinge,

Sire, i tuoi cannoni antichi sui sozzi selciati:

- Oh! Quando saremo morti, li avremo lavati

- E se contro le nostre urla, contro la nostra vendetta,

Le zampe dei vecchi re spronano in Francia

I reggimenti vestiti a festa, ebbene, voi

Tutti, mi udite? - Merda per quei cani!"

 

- Riprese il martello.

La folla

Vicino a quell'uomo si sentiva inebriata,

E nel cortile vasto, negli appartamenti

Dove urlando Parigi ansimava,

Un fremito agitò l'immensa popolaglia.

Allora, con l'ampia mano superba di sporcizia,

E benché il re panciuto sudasse, il Fabbro,

Terribile, sul viso gli scagliò il berretto rosso!

                                                   Palais des Tuileries,

                                                        vers le 10 août 92

Le bras sur un marteau gigantesque, effrayant
D'ivresse et de grandeur, le front vaste, riant
Comme un clairon d'airain, avec toute sa bouche,
Et prenant ce gros-là dans son regard farouche,
Le Forgeron parlait à Louis Seize, un jour
Que le Peuple était là, se tordant tout autour,
Et sur les lambris d'or traînant sa veste sale.
Or le bon roi, debout sur son ventre, était pâle
Pâle comme un vaincu qu'on prend pour le gibet,
Et, soumis comme un chien, jamais ne regimbait
Car ce maraud de forge aux énormes épaules
Lui disait de vieux mots et des choses si drôles,
Que cela l'empoignait au front, comme cela!

"Or, tu sais bien, Monsieur, nous chantions tra la la
Et nous piquions les boeufs vers les sillons des autres:
Le Chanoine au soleil filait des patenôtres
Sur des chapelets clairs grenés de pièces d'or.
Le Seigneur, à cheval, passait, sonnant du cor
Et l'un avec la hart, l'autre avec la cravache
Nous fouaillaient. - Hébétés comme des yeux de vache,
Nos yeux ne pleuraient plus ; nous allions, nous allions,
Et quand nous avions mis le pays en sillons,
Quand nous avions laissé dans cette terre noire
Un peu de notre chair... nous avions un pourboire :
On nous faisait flamber nos taudis dans la nuit;
Nos petits y faisaient un gâteau fort bien cuit.

..."Oh! je ne me plains pas. Je te dis mes bêtises,
C'est entre nous. J'admets que tu me contredises.
Or, n'est-ce pas joyeux de voir, au mois de juin
Dans les granges entrer des voitures de foin
Énormes ?
De sentir l'odeur de ce qui pousse,
Des vergers quand il pleut un peu, de l'herbe rousse?
De voir des blés, des blés, des épis pleins de grain,
De penser que cela prépare bien du pain?...
Oh ! plus fort, on irait, au fourneau qui s'allume,
Chanter joyeusement en martelant l'enclume,
Si l'on était certain de pouvoir prendre un peu,
Étant homme, à la fin ! de ce que donne Dieu!
- Mais voilà, c'est toujours la même vieille histoire!

"Mais je sais, maintenant ! Moi, je ne peux plus croire,
Quand j'ai deux bonnes mains, mon front et mon marteau,
Qu'un homme vienne là, dague sur le manteau,
Et me dise : Mon gars, ensemence ma terre;
Que l'on arrive encor, quand ce serait la guerre,
Me prendre mon garçon comme cela, chez moi!
- Moi, je serais un homme, et toi, tu serais roi,
Tu me dirais : Je veux !... - Tu vois bien, c'est stupide.
Tu crois que j'aime voir ta baraque splendide,
Tes officiers dorés, tes mille chenapans,
Tes palsembleu bâtards tournant comme des paons:
Ils ont rempli ton nid de l'odeur de nos filles
Et de petits billets pour nous mettre aux Bastilles,
Et nous dirons : C'est bien : les pauvres à genoux!
Nous dorerons ton Louvre en donnant nos gros sous!
Et tu te soûleras, tu feras belle fête.
- Et ces Messieurs riront, les reins sur notre tête!

"Non. Ces saletés-là datent de nos papas!
Oh ! Le Peuple n'est plus une putain. Trois pas
Et, tous, nous avons mis ta Bastille en poussière.
Cette bête suait du sang à chaque pierre
Et c'était dégoûtant, la Bastille debout
Avec ses murs lépreux qui nous racontaient tout
Et, toujours, nous tenaient enfermés dans leur ombre!
- Citoyen ! citoyen ! c'était le passé sombre
Qui croulait, qui râlait, quand nous primes la tour!
Nous avions quelque chose au coeur comme l'amour.
Nous avions embrassé nos fils sur nos poitrines.
Et, comme des chevaux, en soufflant des narines
Nous allions, fiers et forts, et ça nous battait là...
Nous marchions au soleil, front haut, - comme cela, -
Dans Paris ! On venait devant nos vestes sales.
Enfin ! Nous nous sentions Hommes ! Nous étions pâles,
Sire, nous étions soûls de terribles espoirs:
Et quand nous fûmes là, devant les donjons noirs,
Agitant nos clairons et nos feuilles de chêne,
Les piques à la main ; nous n'eûmes pas de haine,
- Nous nous sentions si forts, nous voulions être doux!

"Et depuis ce jour-là, nous sommes comme fous!
Le tas des ouvriers a monté dans la rue,
Et ces maudits s'en vont, foule toujours accrue
De sombres revenants, aux portes des richards.
Moi, je cours avec eux assommer les mouchards:
Et je vais dans Paris, noir, marteau sur l'épaule,
Farouche, à chaque coin balayant quelque drôle,
Et, si tu me riais au nez, je te tuerais!
- Puis, tu peux y compter, tu te feras des frais
Avec tes hommes noirs, qui prennent nos requêtes
Pour se les renvoyer comme sur des raquettes
Et, tout bas, les malins! se disent " Qu'ils sont sots!"
Pour mitonner des lois, coller de petits pots
Pleins de jolis décrets roses et de droguailles,
S'amuser à couper proprement quelques tailles,
Puis se boucher le nez quand nous marchons près d'eux,
Nos doux représentants qui nous trouvent crasseux! -
Pour ne rien redouter, rien, que les baïonnettes...,
C'est très bien. Foin de leur tabatière à sornettes!
Nous en avons assez, là, de ces cerveaux plats
Et de ces ventres-dieux. Ah ! ce sont là les plats
Que tu nous sers, bourgeois, quand nous somme féroces,
Quand nous brisons déjà les sceptres et les crosses!..."

Il le prend par le bras, arrache le velours
Des rideaux, et lui montre en bas les larges cours
Où fourmille, où fourmille, où se lève la foule,
La foule épouvantable avec des bruits de houle,
Hurlant comme une chienne, hurlant comme une mer,
Avec ses bâtons forts et ses piques de fer,
Ses tambours, ses grands cris de halles et de bouges,
Tas sombre de haillons saignants de bonnets rouges:
L'Homme, par la fenêtre ouverte, montre tout
Au roi pâle et suant qui chancelle debout,
Malade à regarder cela!
"C'est la Crapule,
Sire. Ca bave aux murs, ça monte, ça pullule:
- Puisqu'ils ne mangent pas, Sire, ce sont des gueux!
Je suis un forgeron : ma femme est avec eux,
Folle ! Elle croit trouver du pain aux Tuileries!
- On ne veut pas de nous dans les boulangeries.
J'ai trois petits. Je suis crapule. - Je connais
Des vieilles qui s'en vont pleurant sous leurs bonnets
Parce qu'on leur a pris leur garçon ou leur fille:
C'est la crapule. - Un homme était à la Bastille,
Un autre était forçat : et tous deux, citoyens
Honnêtes. Libérés, ils sont comme des chiens:
On les insulte ! Alors, ils ont là quelque chose
Qui leur fait mal, allez ! C'est terrible, et c'est cause
Que se sentant brisés, que, se sentant damnés,
Ils sont là, maintenant, hurlant sous votre nez!
Crapule. - Là-dedans sont des filles, infâmes
Parce que, - vous saviez que c'est faible, les femmes -
Messeigneurs de la cour, - que ça veut toujours bien, -
Vous leur avez craché sur l'âme, comme rien!
Vos belles, aujourd'hui, sont là. C'est la crapule.

"Oh ! tous les Malheureux, tous ceux dont le dos brûle
Sous le soleil féroce, et qui vont, et qui vont,
Qui dans ce travail-là sentent crever leur front,
Chapeau bas, mes bourgeois ! Oh ! ceux-là, sont les Hommes!
Nous sommes Ouvriers, Sire ! Ouvriers ! Nous sommes
Pour les grands temps nouveaux où l'on voudra savoir,
Où l'Homme forgera du matin jusqu'au soir,
Chasseur des grands effets, chasseur des grandes causes,
Où, lentement vainqueur, il domptera les choses
Et montera sur Tout, comme sur un cheval!
Oh ! splendides lueurs des forges ! Plus de mal,
Plus ! - Ce qu'on ne sait pas, c'est peut-être terrible:
Nous saurons ! - Nos marteaux en main, passons au crible
Tout ce que nous savons : puis, Frères, en avant!
Nous faisons quelquefois ce grand rêve émouvant
De vivre simplement, ardemment, sans rien dire
De mauvais, travaillant sous l'auguste sourire
D'une femme qu'on aime avec un noble amour:
Et l'on travaillerait fièrement tout le jour,
Écoutant le devoir comme un clairon qui sonne:
Et l'on se sentirait très heureux ; et personne,
Oh ! personne, surtout, ne vous ferait ployer!
On aurait un fusil au-dessus du foyer...

"Oh ! mais l'air est tout plein d'une odeur de bataille.
Que te disais-je donc ? Je suis de la canaille!
Il reste des mouchards et des accapareurs.
Nous sommes libres, nous ! Nous avons des terreurs
Où nous nous sentons grands, oh ! si grands! Tout à l'heure
Je parlais de devoir calme, d'une demeure...
Regarde donc le ciel ! - C'est trop petit pour nous,
Nous crèverions de chaud, nous serions à genoux!
Regarde donc le ciel ! - Je rentre dans la foule,
Dans la grande canaille effroyable, qui roule,
Sire, tes vieux canons sur les sales pavés:
- Oh ! quand nous serons morts, nous les aurons lavés!
- Et si, devant nos cris, devant notre vengeance,
Les pattes des vieux rois mordorés, sur la France
Poussent leurs régiments en habits de gala,
Eh bien, n'est-ce pas, vous tous ? Merde à ces chiens-là!"

- Il reprit son marteau sur l'épaule.
La foule
Près de cet homme-là se sentait l'âme soûle,
Et, dans la grande cour, dans les appartements,
Où Paris haletait avec des hurlements,
Un frisson secoua l'immense populace.
Alors, de sa main large et superbe de crasse,
Bien que le roi ventru suât, le Forgeron,
Terrible, lui jeta le bonnet rouge au front!


Arthur Rimbaud in un disegno di  Paul Verlaine (1872)
Arthur Rimbaud in un disegno di Paul Verlaine (1872)


Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.
Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.


Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
R. alla prima comunione (1866)
R. alla prima comunione (1866)
Rimbaud in Africa (1883)
Rimbaud in Africa (1883)