P. Verlaine, Le poètes maudits, Vanier 1884
P. Verlaine, Le poètes maudits, Vanier 1884

   L’espressione “poeti maledetti” nasce dal titolo che nel 1884 Paul Verlaine dà alla sua opera antologica Les poètes maudits, che contiene testi di Tristan Corbière, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé. Nel 1888 amplia la cerchia aggiungendovi, in una nuova edizione, Marceline Desbordes-Valmore, Villiers de l'Isle-Adam e Pauvre Lélian (pseudonimo dello stesso Verlaine). Un altro tetro aggettivo veniva così ad affiancarsi a queste personalità inquiete, già marchiate da quello di decadenti consacrato dalla rivista di Anatole Baju «Le Decadent». Tra il 1885 e il 1892 Verlaine pubblica le monografie di un'altra ventina di autori nella rivista «Les hommes d'aujourd'hui» (Gli uomini d'oggi).

   La cosiddetta “maledizione” consiste nello stato di isolamento in cui il poeta, nell’allora nascente società moderna, finiva per trascinare la sua vita. A questa condizione interiore e sociale è intimamente collegato un senso di ribellione, che porta a sua volta al desiderio di un riscatto etico attraverso una dimensione estetica.

   Personalità impetuose, sensibili e lontane dagli stereotipi comportamentali della borghesia ottocentesca, i “poeti maledetti” sceglievano spesso di mettere a repentaglio la propria vita sperimentando sensazioni intense mediante l'abuso di alcool e droghe; inevitabili le conseguenze di un simile modo di vivere sullo stile di scrittura, sia a livello tematico che formale. L’espressione poetica si trasforma in mezzo per instaurare con la realtà circostante un rapporto istintuale, senza alcuna mediazione razionale. La parola si rivela strumento di magia e straniamento, e al centro della riflessione emerge prepotentemente la figura del poeta-veggente che riesce ad avere una visione profonda delle verità più impenetrabili.

   Rimbaud fu l'esempio assoluto, dal punto di vista biografico, di tale inclinazione: condusse infatti un'adolescenza sregolata e si fece portatore di una visione anticipatrice e conflittuale. Nella sua opera tali aspetti, sostenuti da una poetica della quintessenza e della veggenza, dei sensi e dell'illuminazione hanno conseguenze sia contenutistiche che formali. La parola poetica viene caricata di un potere magico, straniante e incantatorio, sia che essa rappresenti una separazione dal mondo, sia che voglia costruire un mondo. Si cerca una sua musicalità interna, moderando artifici meccanici come la rima e i parisillabi; si amano le sfumature, più che i colori, poiché solo la sfumatura, come dice Verlaine in Arte poetica (1874), fidanza il sogno al sogno. Si valorizza la figura del poeta che diventa veggente, in grado di penetrare una verità oscura e infinita. Si cerca un rapporto con il mondo puramente sensuale, non più mediato dalla ragione, che si esprime in una fusione di sogno e precisione.

   In questa direzione si era mosso Paul Verlaine già a partire dalla sua prima raccolta del 1866, Poèmes saturniens, ispirata a Baudelaire. Verlaine definisce i suoi versi al tempo stesso già vecchi e già musicali, cioè preludio del Simbolismo. La sua poesia influenzerà diversi poeti, da M. Maeterlinck a F. Jammes. Anche D'Annunzio deve molto al sensualismo al tempo stesso religioso ed epidermico, tra Saffo e Santa Teresa, di Verlaine. L'influenza di Rimbaud sarà anche più vasta, per la radicalità con cui il poeta disgregherà le impalcature sintattiche della lingua, i legami logici e cronologici, le tradizionali modalità della narrazione e della descrizione, fino ad essere preso come modello anche dai movimenti d'avanguardia. Del 1886 è il Manifesto del Simbolismo, pubblicato sul «Figaro» da Jean Moréas, da cui nasce ufficialmente una poetica che eredita e raccoglie alcuni degli assunti fondamentali che si erano andati precisando negli anni precedenti. Essa, nelle sue differenti sfumature e nelle reazioni suscitate, dominerà il periodo a cavallo fra i due secoli e influenzerà in larga misura la poesia del Novecento.



L'Assenzio

Edgar Degas, "L'Assenzio", 1876
Edgar Degas, "L'Assenzio", 1876

   Circondato da una fama sinistra e da cupe ombre, l'assenzio, coi suoi 70 gradi di alcolicità, è stata la bevanda prediletta da artisti e intellettuali fino al 1915, anno in cui venne bandita in quanto "vera piaga sociale", come affermò Emile Zola. Ne fecero un uso smodato, fra i tanti, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Baudelaire, Alfred Jarry, Verlaine, Rimbaud, Musset.

   Ammaliante liquore dall'amaro gusto di anice, l'assenzio divenne ben presto uno dei miti di fine '800, e fu definito Le péril vert, il pericolo verde, o anche La fée verte, la fata verde. Nel 1859 Edouard Manet gli consacrò un quadro, Il bevitore d'assenzio, che suscitò scandalo (il soggetto era un clochard) e venne rifiutato dal Salon. Nel 1876 fu invece Degas a dedicargli un suo strepitoso dipinto (immagine a destra). Ma il fascino dell'assenzio si rivelò ben presto diabolico: era infatti micidiale come una vera e propria droga, sebbene ufficialmente fosse un aperitivo dal gusto molto aromatico che dava immediatamente un gradevole senso di stordimento.

   La bevanda cominciò a diffondersi nel 1830 grazie alla "propaganda" dei soldati di ritorno dalla campagna dell'Algeria e conquistò immediatamente quelle generazioni "romantiche" in conflitto con la borghesia, che in essa vedevano un perfetto strumento di provocazione. L'assenzio veniva preparato con un preciso rituale: dopo aver versato un po' di liquido nel

fondo di un calice di forma svasata, si appoggiava sul bordo superiore del bicchiere un cucchiaino forato che sorreggeva una zolletta di zucchero; si lasciava quindi colare lentamente acqua fresca che scioglieva lo zucchero e diluiva il liquore addolcendolo. Alfred Delvau disse: "L'ubriachezza che dà non assomiglia a nessun'altra di quelle conosciute. Non è l'ubriacatura pesante della birra, né quella feroce dell'acquavite e neppure la gioviale ubriachezza del vino... No, l'assenzio vi fa girare la testa alla prima fermata, vale a dire al primo bicchiere, vi salda sulle spalle un paio di ali di grande portata e si parte per un paese senza frontiere e senza orizzonti ma anche senza poesia e senza sole". Gustave Flaubert, nel suo Dizionario dei luoghi comuni lo definisce ironicamente "veleno ultraviolento: un bicchiere e siete morti. I giornalisti lo bevono mentre scrivono i loro articoli. Ha ucciso più francesi degli stessi beduini".

 

 


Poeti Maledetti “selezionati” dal Webmaster

Arthur Rimbaud in un disegno di  Paul Verlaine (1872)
Arthur Rimbaud in un disegno di Paul Verlaine (1872)


Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.
Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.


Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
R. alla prima comunione (1866)
R. alla prima comunione (1866)
Rimbaud in Africa (1883)
Rimbaud in Africa (1883)