“Muore giovane colui che al cielo è caro...”
di Francesco Guadalupi
Per “poeti maledetti” Verlaine intendeva i veri creatori o poeti assoluti, condannati a scontare in vita, misconosciuti dal proprio tempo,
una prepotente visione anticipatrice e inevitabilmente conflittuale. La “maledizione”, in senso più generale,
consisteva nell’emarginazione a cui il poeta, nella nascente società di massa, si sentiva costretto, e che suscitava in lui reazioni estreme. Non di rado, infatti, i poeti maledetti, investendosi
di ciò che Baudelaire chiamava la “tendenza essenzialmente demoniaca” dell'arte moderna, erano inclini a mettere in gioco la propria vita alla ricerca di una intensificazione delle sensazioni, di un'esperienza suprema, della Conoscenza. «Il poeta si fa Veggente
attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi» proclama spavaldo Arthur Rimbaud. “Poeta maledetto” divenne, dunque, sinonimo
di anticonformista, ribelle, dissacratore, rivoluzionario, reprobo, reietto, dissoluto in preda a un costante
male di vivere e disagio esistenziale (che Baudelaire chiamò spleen),
e venne presto associato a concetti quali: malattia, follia, genialità e trasgressione. Il poeta maledetto è un rinnegato, un disadattato, un angelo che si è deliberatamente esiliato dai reami celesti e a cui verrà sempre negata la misericordia di Dio e quella degli uomini. O
quantomeno: quella dei suoi contemporanei. Questa definizione è stata affibbiata, di volta in volta, a poeti, scrittori e artisti che hanno saputo vedere una Bellezza così dolorosa da
rimanerne segnati. La loro vita è avvampata con un bagliore mille volte superiore a quello dei comuni mortali e da essa ha finito per essere consumata in una manciata di fulgidi
“istanti d'Assoluto”. È un volo accecante e disperato –
il volo della mente, diceva la Woolf –
che ci dona una scia dagli incantevoli riverberi, voce che ammonisce, sospesa fra sogno e realtà; come una leggenda
di cui in seguito si mormora. Fernando Pessoa ci ha lasciato illuminanti parole su queste esistenze sfolgoranti e sulla loro effimera durata:
Muore giovane colui che al Cielo è caro, è un precetto dell'antica sapienza.
E sicuramente l'immaginazione, che vagheggia nuovi mondi,
e l'arte che nelle opere li simula, sono flagranti segni dell'amore divino.
Questi doni gli dèi non li concedono perché siamo felici, ma perché siamo loro pari.
Chi ama, ama soltanto il suo uguale, in quanto, amandolo, lo rende uguale a se stesso.
Ma poiché gli uomini non possono essere uguali agli dèi, dato che il Fato li separò,
l'eletto non resta semplice uomo né si eleva a dio attraverso l'amore divino:
stagna soltanto come dio finto, malato della sua finzione.