Sergio Solmi

 

 

Sergio Solmi (1899-1981), scrittore  e saggista
Sergio Solmi (1899-1981), scrittore e saggista

Alla radice della vita - e della poesia - di Rimbaud, c'è qualcosa che può definirsi una crisi di adattamento, e ne costituisce, insieme, il segreto e la chiave. Sulle soglie dell'adolescenza, al momento della separazione dell'io dal mondo e della loro immancabile opposizione, in luogo dei faticosi ma saltuari compromessi, dev'essersi compiuta, per lui, una frattura insanabile. A un certo momento la realtà, in cui originariamente l'anima penetra e nuota come in una sua propria emanazione e trasparenza, e in cui trapassano e sfumano insensibilmente i cari aspetti e coloriti del beato puerile abbandono, comincia a farsi impenetrabile e opaca, diviene "l'altro". E, come si sa, dalla più o meno rapida e felice accettazione di questo "altro" dipenderà in gran parte il nostro destino. Il confine col mondo riduce a poco a poco il suo alone di sogno, la zona degli "ameni inganni", fino a coincidere col profilo della nostra stessa persona. Se riusciamo a distaccarci, senza restarne troppo feriti, dall'indivisione originaria, potremmo dirci relativamente salvi. Ma nei primi anni di Rimbaud, forse in coincidenza con l'inizio della pubertà, avviene una sorta di arresto in questo lento e faticoso processo di adattamento. Forse, egli finge di accettare i nuovi oggetti opachi e irti che la "rugosa realtà" gli offre, con una segreta malafede, con un fondo pensiero ritorto. Forse, egli si volge ai chiusi cancelli del Giardino con un sentimento misto di rimpianto, e di rancore e di vergogna per quella che doveva confusamente sentire come una debolezza. La storia della vita e della poesia di Rimbaud sarà la storia di questo rimpianto, di questo rancore, e del tentativo dell'impossibile riconquista. […] Come sempre, l'aggressività nasconde una debolezza. E tutto il realismo aggressivo dell'espressione letteraria del primo Rimbaud funziona, complessivamente, come una difesa. Il poeta fissa, blocca la realtà di un quadro rilevato e incisivo, illuminati dalla luce livida dell'odio e del disprezzo. Impaziente dei lunghi errori e delle tortuose maturazioni dell'esperienza, s'illude di giudicare e di rifiutare il mondo attraverso l'icasticità e gli eccessi coloriti d'una descrizione deformata e implacabile: soltanto così potrà non esserne ferito, ogni delusione sarà scontata in partenza, nella contrazione e nella difesa d'un atteggiamento di ferma visione e d'imperturbabile scherno. […] Ai ribelli, ai refrattari, alle "anime in pena", che non si rassegnano né ad accettare il comune destino della lotta quotidiana, né ad accoccolarsi pigramente nei punti morti della storia, le strutture della nostra società moderna sembrano ancora concedere, principalmente, due vie di scampo. La prima è quella del vecchio mito religioso, il transfert dell'irrequietudine sui problemi dell'assoluto e dell'aldilà; la seconda è quella del nuovo mito sociale, il placarsi di quella stessa irrequietudine nella previsione e preparazione di un mondo finalmente accettabile, delle "splendide città" del futuro. Ma al giovinetto Rimbaud la prima via era preclusa. L'aspirazione al mondo della trascendenza religiosa, cui pure sembrava predisporlo la sua natura di mistico "allo stato selvaggio", lo avrebbe più sicuramente e duramente rituffato nell'odiata immanenza, avrebbe fatto coincidere ancor più strettamente il suo almeno provvisorio destino con la meschina realtà ch'egli rifiutava; lo avrebbe, per intanto, ancor più irrimediabilmente incasellato nell'esistenza familiare dominata dalla madre rigida e devota, nell'aria stagnante di Charleville. Perciò, soprattutto su quel punto, l'insofferenza di Rimbaud esplode totale, con accenti di una violenza inaudita. Il suo anticlericalismo si sfoga, dapprima, nella feroce novelletta Un cœur sous une soutane, non più che uno scherzo puerile di scolaro vendicativo. Ma poco più tardi, nei Pauvres à l'église e nelle Premières communions, lo spirito blasfematorio adombra già il motivo del riscatto sociale, i temi anticristiani del positivismo scientifico e paganeggiante del tempo si traducono in una evocazione spietata di deformazioni fisiche, di stati di malattia e di delirio. Perciò contro il mito cristiano, sintesi per lui di quella ubbidienza nell'abiezione da cui con tanta forza ripugnava, di quel passato che gli appariva come una forma vivente della morte, ecco levarsi impetuoso l'altro mito, quello terreno, intriso dell'amore degli uomini, dei più umili, di quelli che recano misteriosamente in loro il germe dell'avvenire.

Arthur Rimbaud in un disegno di  Paul Verlaine (1872)
Arthur Rimbaud in un disegno di Paul Verlaine (1872)


Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.
Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.


Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
R. alla prima comunione (1866)
R. alla prima comunione (1866)
Rimbaud in Africa (1883)
Rimbaud in Africa (1883)